Una bambina nata e cresciuta sola, aveva fatto del cielo il suo tetto e il suo riparo.
Passava intere giornate ad osservarlo, tanto da voler essere un aquilone. Lei era fatta per esserlo, ne sono sicuro.
Dentro portava il cielo che le tingeva le gote d’azzurro e nuvole bianche come la sua pelle.
Nel suo cuore c’era un posto dove tirava sempre il vento con cui lei muoveva il cielo mentre tesseva nuvole di pizzo che legava a sé, con fili d’argento, come enormi aquiloni.
Le nuvole, le sue amiche più care. Le nuvole che, come palloncini si gonfiano d’acqua per poi pioverci addosso quando un fulmine dispettoso, come uno spillo, le buca.
Le nuvole che tuonano arrabbiate e con il loro strepitare danno voce al cielo.
Le nuvole che amano mimare quel che il cielo gli racconta, quel cielo che ogni giorno le modella e ne scolpisce i confini.
Le nuvole, quelle chiacchierone. Raccontavano storie di temporali e cieli immensi, di marinai e di contadini.
La bambina con loro non si sentiva più sola. Le bastava mettersi in punta di piedi e allungare un dito per toccarle. Lontane chilometri eppure a lei così vicine.
Se non le vedeva per un po’ non si preoccupava, sapeva che erano in un posto vicino a decidere che forma assumere per quando sarebbero tornate.
Quelle nuvole immaginava che fossero persone, e di quelle persone avrebbe voluto conoscerne le storie.
A chi le diceva che doveva smettere di cadere dalle nuvole, lei rispondeva: “io ho imparato ad abbracciarle, non cado più”.
Aveva la testa sulle spalle quella ragazzina, ma le spalle sempre fra le nuvole.
Guarda anche tu quelle nuvole, guarda come sono belle. E se vuoi capirle, chiudi gli occhi e pensale forte.
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